giovedì 16 settembre 2010

uochi toki/2

un lavoro masochistico
uochi toki, 2010

gettandomi in ambigue immedesimazioni non richieste ma richieste
Il mio problema (uno dei) è che divago subito, è che pretendo tu capisca tutto in una sera. Quindi faccio uno sforzo, sospendo la pretesa, ti racconto qualcosa che non mi interessa, ad esempio di questa altra ragazza. Mentre cammino in strada, in piazza, il vento freddo non mi taglia la faccia. Vorticata e bassa, la città universitaria in passato già citata dove la gente non si ammazza ma si ammassa. Ed è subito gabbia di Faraday, ovvero: aperitivo, localino, barettino, svago del mercoledì in prima serata. Abitudini indistruttibili, come una rete metallica che scarica gli stimoli, impedisce alla gente di rimanere folgorata, tranne quando viene fotografata. Ed in pratica io entro in uno di questi localetti da aperitivo. Schivando l’estrazione di un dagherrotipo, riscopro l’imbarazzo antico di colui che folgorato più volte non è protetto da un titolo. Ma io mi abituo, mi situo, mi incastro anche se non partecipo al rito collettivo. Mi siedo al banco, ordino un digestivo. Cos’hai capito? Non un amaro! Il mio farmaco è una tazza di acqua calda ed erba aromatica, rigorosamente senza zucchero. Alla barista cala la vista. È più difficile preparare un tè caldo rispetto ad un’arista al forno con prugne, castagne e patate di contorno. Mi pronuncio: non importa, aspetto, ho tempo, niente fretta, non importa, aspetto, mento, non ho tempo, non ho fretta. Accanto a me siede una ragazza, per l’esattezza è un’essere di razza umana da cromosoma x doppia, la quale scoppia in una risata: “Questo tipo di bevanda – credo si riferisca al tè – non è molto adatta a una serata come questa. Guarda che faccia. Dai, divertiti, bevi una birra”. Io sorrido e poi mi esprimo: mi dispiace, sono astemio, ho degli amici che mi aspettano, e bevo un tè per ristabilire l’assetto del mio clima energetico interno, disturbato dal poco sonno, dal troppo movimento, da una postura scomoda che conferisce patimento a tutto l’organismo ed in particolare al mio trigemino, allo stomaco, al nervo vago. “Accidenti, te ne intendi. Scusami, non volevo mica disturbarti. Ne sai a pacchi sullo yoga e su ogni cosa lo riguardi!” Ti sbagli, non ho mai preso una lezione. Sparo solo cazzate per sostenere una conversazione. “Mi sembri una persona intelligente. Io mi chiamo Azzurptkl, e tu come ti chiami?” Il mio nome è: sono entrato in questo locale che non mi va a genio, ma che sopporto per ottenere supporto allo spostamento. Tramite un comportamento reputato ai margini di un contesto, sono in viaggio a piedi. Stasera partecipo e parlo ad un concerto. Sono gentile con gli sconosciuti e mi interesso. Indefesso nel discorso, non mi tiro mai indietro. Non apprezzo il dare contro. cerco sempre un compromesso senza tendere al ripiego. Mi spiego? Il mio lavoro è il mago. “Rido. Scusami. Sei simpatico. Sei strano. Ti va se parliamo?” Ehm, ma noi stiamo parlando. “Allora ti va se parliamo di qualcos’altro?” Certo. Il mio situazionismo spicciolo mi impone di indagare su di un fatto. Se ti offendo meno rifiutando il tuo invito all’alcol, senza che tu mi tacci di purismo, proibizionismo, straightedgismo. È che più ne capisco, meglio interagisco. Dai sconosciuta, colma queste lacune che non mi caratterizzano. “Non saprei che dire. Per me è normale offrire quando mi vado in giro a divertire. Seguo i miei impulsi, il mio cane, il mio intuito femminile”.
Apriamo una parentesi: io non odio gli uomini. Io non odio nemmeno le donne. Purtroppo per risultare simpatico ai primi e farsi amare dalle seconde molto spesso è necessario evitare di fare certe domande. Molte domande. Approfondite domande. A volte non ce la faccio proprio a fingere che mi interessino meno le arti magiche piuttosto che arrivare a spingere un seme all’interno delle parti intime senza rendermi conto di cosa ho fatto e soprattutto con chi. La mia passione si accende quando interviene il soprannaturale, quindi quando qualcosa va oltre la natura, sopra la natura, attorno alla natura. E non si tratta di una metafora per dire che mi masturbo pensando alle streghe o alla telecinesi. Ed è per questo che mi interesso, quando la ragazza dice “intuito femminile”. C’è sempre una possibilità remota che non lo stia dicendo solo per autoconvinzione o per l’adesione ad un’idea di donna tramandata dalla nonna di tutti noi, o dai giornalacci tipo Cosmopolitan che albergano nel cuore di tutti noi. Intuito femminile. Intuito femminile. Intuito femminile. Intuito femminile?
Spiegami, ragazza, di cosa si tratta. Mi interessa capire ciò che tu chiami “intuito femminile”, dato che io conosco solo l’intuito semplice nella sua complessa accezione molteplice. “Non sono stupida. Usi la tecnica socratica della maieutica. In pratica mi chiedi di spiegarti qualcosa che non saprei spiegarti solo per darmi contro, girarmi attorno, cuocermi a puntino come se fossi un pollo. Sei uno stronzo, un lupo travestito da agnello!” Complimenti, è tutto esatto, mi hai scoperto grazie al tuo intuito, ma non hai capito affatto il mio comportamento. Le mie intenzioni non sono quelle di distruggerti. Voglio solo portarti in posti scomodi. “Scusami, ma preferisco smettere di parlarti. Non sopporto gli uomini subdoli” Sei una stupida! La persona subdola è l’uomo che ti vezzeggia e che ti coccola con la finalità più pratica, dimenticata persino da lui stesso, chi sottende nel compromesso di un rapporto una voglia di possesso. E se davanti al tuo invito a parlare e poi rifiuto di parlarmi, io mi adeguassi, smettessi di cercare di capirti e cominciassi a corteggiarti, scusandomi e dandomi per matto ti sembrerei un po’ meno stronzo? “Non capisco cosa hai detto e non ti credo. Sei uno di quelli che si sentono superiori agli altri e non si occupano di chi soffre per davvero!” Il litigio è l’espressione massima del salto nel vuoto dentro una persona definita come “sconosciuto”. Il tentativo di riempire questo abisso con le definizioni che ti hanno detto ad un banchetto a volte non lo sopporto, ma non chiedo rispetto. Perché il rispetto è un contenitore, e sono qui per espandermi, non per contenere. Ragazza, stammi a sentire. Ho proprio voglia di spiegarmi, farti capire. Prima mi scuso per le mie parole… “Era ora!” …dopodiché ti faccio un regalo e me ne vado. “Non so se voglio un regalo da te”. Le parole della ragazza non arrivano alle mie orecchie, ma i bordi della mia tazza già lambiscono le mie labbra. L’acqua bollente mi rilassa. Sto per usare la magia. Mi concentro sull’istante. Particella atomica della situazione. Ogni frammento di tempo diventa protone, neutrone, elettrone. La rappresentazione atomica del tempo si distrugge! Eccomi. Sono sul piano senza rappresentazioni. Richiamo l’arte più profonda, quella di non essere me stesso. Chiedo al dio del caso il permesso di incarnarmi contemporaneamente nel mio corpo e in quello della ragazza che mi siede di fianco. Nessuna risposta. Nessun ostacolo. Intorno a me il tempo si è fermato, o per meglio dire era già fermo. Ne approfitto. Dormo un’ora, visto che ho tutto il tempo che voglio, e che per svolgere l’incantesimo dell’immedesimazione serve la stessa energia che useresti per correre tu 10 chilometri in salita per un’ora. Quando corro guardo la natura, gli alberi, le foglie, la terra, una casa, il cielo. “Se corro così tutti i giorni potrebbero rassodarmisi i glutei! La prossima volta vengo a correre con il cane, il mio amore, eh?” Ecco, ecco! sono nel corpo della ragazza. Sento i suoi pensieri, sento le sue percezioni. “Ho la testa leggera e pesante che fluttua, coadiuvata da tre birre. Ho la gola un po’ infiammata, e la voglia di fumare una sigaretta (questa poi…) ma non abbastanza. Mi sento scomoda su questo sgabello da bar, ma non voglio cambiare posizione. Devo mostrarmi forte nei confronti di questo buffo ragazzo con gli occhiali, che utilizza termini intellettuali. Probabilmente gli piaccio, ma non capisco. Vuole scusarsi. Speriamo che riesca a non giocarsi anche questa seconda possibilità che voglio dargli”. Davvero poco interessante. Voglio cercare qualcosa di più nucleico. Certo, potrei anche palparmi le tette, così finalmente potrei dire di aver esplorato dentro un corpo femminile senza dover usare la scusa del sesso per supportare la mia curiosità apparentemente senza senso. Bisognerebbe scindere le due cose, in due momenti ben distinti: in un momento ci si esplora, si conosce e ci si tocca, e in un secondo momento si lascia che gli istinti prevalgano, mai le due cose mischiate. Volete negarlo? Vi siete mai chiesti perché non riuscite a capire, conoscere il partner e perché raramente riuscite a fare del sesso soddisfacente? È logico: volete fare entrambe le cose contemporaneamente. E chi vi propone alternative lo rinchiudete in una definizione tipo “macchinoso” o “razionale”. Dai, mentre voi ci pensate io continuo a cercare il punto nodale della ragazza in questione. Evito i pensieri sulle scarpe, sulle mestruazioni, sui rapporti pregressi con uomini dozzinali. Voglio sapere cose più fondanti. Cosa distingue questa persona dagli altri? Qual è la sua forza? Di cosa è composta l’essenza di ciò che è definito “intuito”? E perché lo lega al cromosoma doppia x senza y? Ma vedo solo sensi di colpa. Un concetto di amore riversato su di un cane al guinzaglio come guardare una natura morta. Rimembranza distorta di sport, una storta. Voglia di fare, molta, ma travolta dai contesti, distrutta da termini come “debolezza” e “forza”. Dai, fammi vedere cosa c’è dietro quando arrivo al tuo concetto di sofferenza, dai! È L’estasi. Ecco! È l’estasi. L’enfasi dell’eureka. Questa ragazza ha sofferto in seguito a un aborto. E voi che state ascoltando, vorreste che adesso io mi esprimessi sulla giustezza o meno dell’abortire per il vostro sollazzo politico? Siete fantasmi che portano all’esasperazione. Ci si avvicina ad una scelta in maniera individuale. Ci sono scelte che si fanno al di fouri della collettività. Senza coscienza identitaria, senza tradizione rivoluzionaria, e l’aborto è una di queste. Questa ragazza è stata male perché attorniata dagli spiriti della morale in un momento doloroso e di concentrazione. E questi spiriti nascono da voi quando producete un’opinione. E come cercherete di ignorarmi? Dicendo che è una mia opinione? Allora lo faccio anch’io, dai. Vi glisso, vi sorvolo. Mi rimane solo una cosa da fare: voglio guardarmi attorno con gli occhi di questa persona ed intuire qualcosa di correlabile a questo nucleo che mentirei se definissi centrale. Ma il fatto è che non ho sufficiente energia mentale per spingermi oltre. “Mi guardo attorno: dentro questo pub sordido, arredamento stupido, qualcuno indossa un indumento orrido, il sottofondo musicale mi fa muovere a tempo un piede. Sento il bisogno di ballare, ordinare qualcosa di più forte, forse vino, whisky, grappe. Dovrei stare in casa per studiare e non perdere tempo in un locale. Mi piacerebbe incontrare un uomo vero, che si interessi, si prenda cura dei miei interessi, si fermi a guardarmi e capisca i miei traumi, che sappia sempre cosa dire senza urtarmi. E invece chi ho davanti? Uno stupido che cerca solo di incantarmi con stupidaggini sui maghi, discorsi vaghi. Ma dai, svagati e staccati. Smettila di proteggerti dagli altri bevendoti acque calde, raccontando aneddoti. Prenditi sul serio, prenditi meno sul serio. Mentre tu parli delle tue teorie filosofiche c’è gente che soffre per davvero. E poi guardati, con quel giubbotto sei ridicolo, ingenuo nei movimenti, nel taglio di capelli. Mi ricordi un bambino”. Perdo la concentrazione. Torno sul piano. Torno nel mio corpo. Mi volto e mi rivolgo: ragazza, chiedi di essere compresa, ma non sei disposta ad abbassare nessuna tua difesa. Tu sei in guerra. Un nemico, una divisa. Ma il nemico ha dei pensieri. Finché dispenserai inadeguatezza, finché ti chiuderai nel tuo concetto di giustizia, potrai soltanto schiacciare gli altri e combatterli. Le tue armi sono i lontani e vicini esempi di chi soffre veramente. Finché inali sofferenze tu sarai vincente, dalla parte giusta della morale. Potrai ordinare agli altri quando ci si deve divertire con un’offerta di alcol all’interno di un locale. Oppure quando bisogna piangere pensando ad un essere umano morto o al tuo aborto. Io soffro del tuo vedermi ridicolo. Accetto fatica e morte, ma soffro di ogni equivoco. Hai vinto. “Ho vinto cosa? Non capisco! Come ti permetti di parlarmi dell’aborto?” Finisco il tè e me ne vado, tanto non ti importa se parliamo. Tu vuoi un dialogo controllato, la risposta ad un richiamo, un cane pavloviano. “Cos’hai fatto? Non abbiamo quasi parlato. Sembra che questo dialogo tu te lo sia inventato!” Non importa, non ho colpa. Ho gli occhi color porpora. Non posso staccarti dal tuo concetto di uomo e di donna. Piangi ora, e non sapere bene perché! La mia sedia non era poi così scomoda. Sono uno stupido. Usare la magia per comprendere gli altri non mi esula dai colpi. Anzi, sappiatelo: un mago riceve sofferenze anche da come viene mosso un bicchiere, dall’uso improprio di un termine, dalle volontà altrui quando sono vanamente troppo ferree. E me ne vado dal luogo e nel momento massimo di svago. Mentre tutti ridono, io mi piego, scompaio nascosto dalle lievi lacrime di una persona sconosciuta che si è imbattuta nella pretesa ridicola di una persona ridicola.

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