sabato 25 settembre 2010

-...C'era quel video, ricordi? Dai! Ti ricordi di quel videoclip, di quel gruppo inglese, quello con una coppia che fa un balletto, anniottanta  in un porto di Miami, davanti ad un pubblico di babbione... solo che la ballerina è una vecchia, ma vecchia vecchia!
-Sì, mi ricordo, i Cold Play!
http://www.youtube.com/watch?v=1Tp0r9197uo

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giovedì 16 settembre 2010

uochi toki/2

un lavoro masochistico
uochi toki, 2010

gettandomi in ambigue immedesimazioni non richieste ma richieste
Il mio problema (uno dei) è che divago subito, è che pretendo tu capisca tutto in una sera. Quindi faccio uno sforzo, sospendo la pretesa, ti racconto qualcosa che non mi interessa, ad esempio di questa altra ragazza. Mentre cammino in strada, in piazza, il vento freddo non mi taglia la faccia. Vorticata e bassa, la città universitaria in passato già citata dove la gente non si ammazza ma si ammassa. Ed è subito gabbia di Faraday, ovvero: aperitivo, localino, barettino, svago del mercoledì in prima serata. Abitudini indistruttibili, come una rete metallica che scarica gli stimoli, impedisce alla gente di rimanere folgorata, tranne quando viene fotografata. Ed in pratica io entro in uno di questi localetti da aperitivo. Schivando l’estrazione di un dagherrotipo, riscopro l’imbarazzo antico di colui che folgorato più volte non è protetto da un titolo. Ma io mi abituo, mi situo, mi incastro anche se non partecipo al rito collettivo. Mi siedo al banco, ordino un digestivo. Cos’hai capito? Non un amaro! Il mio farmaco è una tazza di acqua calda ed erba aromatica, rigorosamente senza zucchero. Alla barista cala la vista. È più difficile preparare un tè caldo rispetto ad un’arista al forno con prugne, castagne e patate di contorno. Mi pronuncio: non importa, aspetto, ho tempo, niente fretta, non importa, aspetto, mento, non ho tempo, non ho fretta. Accanto a me siede una ragazza, per l’esattezza è un’essere di razza umana da cromosoma x doppia, la quale scoppia in una risata: “Questo tipo di bevanda – credo si riferisca al tè – non è molto adatta a una serata come questa. Guarda che faccia. Dai, divertiti, bevi una birra”. Io sorrido e poi mi esprimo: mi dispiace, sono astemio, ho degli amici che mi aspettano, e bevo un tè per ristabilire l’assetto del mio clima energetico interno, disturbato dal poco sonno, dal troppo movimento, da una postura scomoda che conferisce patimento a tutto l’organismo ed in particolare al mio trigemino, allo stomaco, al nervo vago. “Accidenti, te ne intendi. Scusami, non volevo mica disturbarti. Ne sai a pacchi sullo yoga e su ogni cosa lo riguardi!” Ti sbagli, non ho mai preso una lezione. Sparo solo cazzate per sostenere una conversazione. “Mi sembri una persona intelligente. Io mi chiamo Azzurptkl, e tu come ti chiami?” Il mio nome è: sono entrato in questo locale che non mi va a genio, ma che sopporto per ottenere supporto allo spostamento. Tramite un comportamento reputato ai margini di un contesto, sono in viaggio a piedi. Stasera partecipo e parlo ad un concerto. Sono gentile con gli sconosciuti e mi interesso. Indefesso nel discorso, non mi tiro mai indietro. Non apprezzo il dare contro. cerco sempre un compromesso senza tendere al ripiego. Mi spiego? Il mio lavoro è il mago. “Rido. Scusami. Sei simpatico. Sei strano. Ti va se parliamo?” Ehm, ma noi stiamo parlando. “Allora ti va se parliamo di qualcos’altro?” Certo. Il mio situazionismo spicciolo mi impone di indagare su di un fatto. Se ti offendo meno rifiutando il tuo invito all’alcol, senza che tu mi tacci di purismo, proibizionismo, straightedgismo. È che più ne capisco, meglio interagisco. Dai sconosciuta, colma queste lacune che non mi caratterizzano. “Non saprei che dire. Per me è normale offrire quando mi vado in giro a divertire. Seguo i miei impulsi, il mio cane, il mio intuito femminile”.
Apriamo una parentesi: io non odio gli uomini. Io non odio nemmeno le donne. Purtroppo per risultare simpatico ai primi e farsi amare dalle seconde molto spesso è necessario evitare di fare certe domande. Molte domande. Approfondite domande. A volte non ce la faccio proprio a fingere che mi interessino meno le arti magiche piuttosto che arrivare a spingere un seme all’interno delle parti intime senza rendermi conto di cosa ho fatto e soprattutto con chi. La mia passione si accende quando interviene il soprannaturale, quindi quando qualcosa va oltre la natura, sopra la natura, attorno alla natura. E non si tratta di una metafora per dire che mi masturbo pensando alle streghe o alla telecinesi. Ed è per questo che mi interesso, quando la ragazza dice “intuito femminile”. C’è sempre una possibilità remota che non lo stia dicendo solo per autoconvinzione o per l’adesione ad un’idea di donna tramandata dalla nonna di tutti noi, o dai giornalacci tipo Cosmopolitan che albergano nel cuore di tutti noi. Intuito femminile. Intuito femminile. Intuito femminile. Intuito femminile?
Spiegami, ragazza, di cosa si tratta. Mi interessa capire ciò che tu chiami “intuito femminile”, dato che io conosco solo l’intuito semplice nella sua complessa accezione molteplice. “Non sono stupida. Usi la tecnica socratica della maieutica. In pratica mi chiedi di spiegarti qualcosa che non saprei spiegarti solo per darmi contro, girarmi attorno, cuocermi a puntino come se fossi un pollo. Sei uno stronzo, un lupo travestito da agnello!” Complimenti, è tutto esatto, mi hai scoperto grazie al tuo intuito, ma non hai capito affatto il mio comportamento. Le mie intenzioni non sono quelle di distruggerti. Voglio solo portarti in posti scomodi. “Scusami, ma preferisco smettere di parlarti. Non sopporto gli uomini subdoli” Sei una stupida! La persona subdola è l’uomo che ti vezzeggia e che ti coccola con la finalità più pratica, dimenticata persino da lui stesso, chi sottende nel compromesso di un rapporto una voglia di possesso. E se davanti al tuo invito a parlare e poi rifiuto di parlarmi, io mi adeguassi, smettessi di cercare di capirti e cominciassi a corteggiarti, scusandomi e dandomi per matto ti sembrerei un po’ meno stronzo? “Non capisco cosa hai detto e non ti credo. Sei uno di quelli che si sentono superiori agli altri e non si occupano di chi soffre per davvero!” Il litigio è l’espressione massima del salto nel vuoto dentro una persona definita come “sconosciuto”. Il tentativo di riempire questo abisso con le definizioni che ti hanno detto ad un banchetto a volte non lo sopporto, ma non chiedo rispetto. Perché il rispetto è un contenitore, e sono qui per espandermi, non per contenere. Ragazza, stammi a sentire. Ho proprio voglia di spiegarmi, farti capire. Prima mi scuso per le mie parole… “Era ora!” …dopodiché ti faccio un regalo e me ne vado. “Non so se voglio un regalo da te”. Le parole della ragazza non arrivano alle mie orecchie, ma i bordi della mia tazza già lambiscono le mie labbra. L’acqua bollente mi rilassa. Sto per usare la magia. Mi concentro sull’istante. Particella atomica della situazione. Ogni frammento di tempo diventa protone, neutrone, elettrone. La rappresentazione atomica del tempo si distrugge! Eccomi. Sono sul piano senza rappresentazioni. Richiamo l’arte più profonda, quella di non essere me stesso. Chiedo al dio del caso il permesso di incarnarmi contemporaneamente nel mio corpo e in quello della ragazza che mi siede di fianco. Nessuna risposta. Nessun ostacolo. Intorno a me il tempo si è fermato, o per meglio dire era già fermo. Ne approfitto. Dormo un’ora, visto che ho tutto il tempo che voglio, e che per svolgere l’incantesimo dell’immedesimazione serve la stessa energia che useresti per correre tu 10 chilometri in salita per un’ora. Quando corro guardo la natura, gli alberi, le foglie, la terra, una casa, il cielo. “Se corro così tutti i giorni potrebbero rassodarmisi i glutei! La prossima volta vengo a correre con il cane, il mio amore, eh?” Ecco, ecco! sono nel corpo della ragazza. Sento i suoi pensieri, sento le sue percezioni. “Ho la testa leggera e pesante che fluttua, coadiuvata da tre birre. Ho la gola un po’ infiammata, e la voglia di fumare una sigaretta (questa poi…) ma non abbastanza. Mi sento scomoda su questo sgabello da bar, ma non voglio cambiare posizione. Devo mostrarmi forte nei confronti di questo buffo ragazzo con gli occhiali, che utilizza termini intellettuali. Probabilmente gli piaccio, ma non capisco. Vuole scusarsi. Speriamo che riesca a non giocarsi anche questa seconda possibilità che voglio dargli”. Davvero poco interessante. Voglio cercare qualcosa di più nucleico. Certo, potrei anche palparmi le tette, così finalmente potrei dire di aver esplorato dentro un corpo femminile senza dover usare la scusa del sesso per supportare la mia curiosità apparentemente senza senso. Bisognerebbe scindere le due cose, in due momenti ben distinti: in un momento ci si esplora, si conosce e ci si tocca, e in un secondo momento si lascia che gli istinti prevalgano, mai le due cose mischiate. Volete negarlo? Vi siete mai chiesti perché non riuscite a capire, conoscere il partner e perché raramente riuscite a fare del sesso soddisfacente? È logico: volete fare entrambe le cose contemporaneamente. E chi vi propone alternative lo rinchiudete in una definizione tipo “macchinoso” o “razionale”. Dai, mentre voi ci pensate io continuo a cercare il punto nodale della ragazza in questione. Evito i pensieri sulle scarpe, sulle mestruazioni, sui rapporti pregressi con uomini dozzinali. Voglio sapere cose più fondanti. Cosa distingue questa persona dagli altri? Qual è la sua forza? Di cosa è composta l’essenza di ciò che è definito “intuito”? E perché lo lega al cromosoma doppia x senza y? Ma vedo solo sensi di colpa. Un concetto di amore riversato su di un cane al guinzaglio come guardare una natura morta. Rimembranza distorta di sport, una storta. Voglia di fare, molta, ma travolta dai contesti, distrutta da termini come “debolezza” e “forza”. Dai, fammi vedere cosa c’è dietro quando arrivo al tuo concetto di sofferenza, dai! È L’estasi. Ecco! È l’estasi. L’enfasi dell’eureka. Questa ragazza ha sofferto in seguito a un aborto. E voi che state ascoltando, vorreste che adesso io mi esprimessi sulla giustezza o meno dell’abortire per il vostro sollazzo politico? Siete fantasmi che portano all’esasperazione. Ci si avvicina ad una scelta in maniera individuale. Ci sono scelte che si fanno al di fouri della collettività. Senza coscienza identitaria, senza tradizione rivoluzionaria, e l’aborto è una di queste. Questa ragazza è stata male perché attorniata dagli spiriti della morale in un momento doloroso e di concentrazione. E questi spiriti nascono da voi quando producete un’opinione. E come cercherete di ignorarmi? Dicendo che è una mia opinione? Allora lo faccio anch’io, dai. Vi glisso, vi sorvolo. Mi rimane solo una cosa da fare: voglio guardarmi attorno con gli occhi di questa persona ed intuire qualcosa di correlabile a questo nucleo che mentirei se definissi centrale. Ma il fatto è che non ho sufficiente energia mentale per spingermi oltre. “Mi guardo attorno: dentro questo pub sordido, arredamento stupido, qualcuno indossa un indumento orrido, il sottofondo musicale mi fa muovere a tempo un piede. Sento il bisogno di ballare, ordinare qualcosa di più forte, forse vino, whisky, grappe. Dovrei stare in casa per studiare e non perdere tempo in un locale. Mi piacerebbe incontrare un uomo vero, che si interessi, si prenda cura dei miei interessi, si fermi a guardarmi e capisca i miei traumi, che sappia sempre cosa dire senza urtarmi. E invece chi ho davanti? Uno stupido che cerca solo di incantarmi con stupidaggini sui maghi, discorsi vaghi. Ma dai, svagati e staccati. Smettila di proteggerti dagli altri bevendoti acque calde, raccontando aneddoti. Prenditi sul serio, prenditi meno sul serio. Mentre tu parli delle tue teorie filosofiche c’è gente che soffre per davvero. E poi guardati, con quel giubbotto sei ridicolo, ingenuo nei movimenti, nel taglio di capelli. Mi ricordi un bambino”. Perdo la concentrazione. Torno sul piano. Torno nel mio corpo. Mi volto e mi rivolgo: ragazza, chiedi di essere compresa, ma non sei disposta ad abbassare nessuna tua difesa. Tu sei in guerra. Un nemico, una divisa. Ma il nemico ha dei pensieri. Finché dispenserai inadeguatezza, finché ti chiuderai nel tuo concetto di giustizia, potrai soltanto schiacciare gli altri e combatterli. Le tue armi sono i lontani e vicini esempi di chi soffre veramente. Finché inali sofferenze tu sarai vincente, dalla parte giusta della morale. Potrai ordinare agli altri quando ci si deve divertire con un’offerta di alcol all’interno di un locale. Oppure quando bisogna piangere pensando ad un essere umano morto o al tuo aborto. Io soffro del tuo vedermi ridicolo. Accetto fatica e morte, ma soffro di ogni equivoco. Hai vinto. “Ho vinto cosa? Non capisco! Come ti permetti di parlarmi dell’aborto?” Finisco il tè e me ne vado, tanto non ti importa se parliamo. Tu vuoi un dialogo controllato, la risposta ad un richiamo, un cane pavloviano. “Cos’hai fatto? Non abbiamo quasi parlato. Sembra che questo dialogo tu te lo sia inventato!” Non importa, non ho colpa. Ho gli occhi color porpora. Non posso staccarti dal tuo concetto di uomo e di donna. Piangi ora, e non sapere bene perché! La mia sedia non era poi così scomoda. Sono uno stupido. Usare la magia per comprendere gli altri non mi esula dai colpi. Anzi, sappiatelo: un mago riceve sofferenze anche da come viene mosso un bicchiere, dall’uso improprio di un termine, dalle volontà altrui quando sono vanamente troppo ferree. E me ne vado dal luogo e nel momento massimo di svago. Mentre tutti ridono, io mi piego, scompaio nascosto dalle lievi lacrime di una persona sconosciuta che si è imbattuta nella pretesa ridicola di una persona ridicola.

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Uochi Toki - L'osservatore, l'osservatore 1


Mi sveglio alle tre del mattino. Percepisco che sono in giro. Cammino disperso nello spazio cittadino, dove noi non c’incontriamo, né tra mezz’ora né mai, però tre mesi dopo, ad esempio. Rivedo situazioni avvenute nello stesso spazio, ma in diverso tempo. Ricomincio. Mi sveglio, percepisco lo spazio intorno a me, come la mia stanza da letto, pavimento tavolo finestra tetto. È una visione rassicurante. Io sono una persona pedante: per quante volte guardi la stessa immagine, questa non passa inosservata. È un’abitudine consolidata: osservo la realtà che tu dai per scontata come Monet con la Cattedrale di Rouen in diversi momenti della giornata. Mi sveglio, esco di casa. Noto particolari nuovi anche se faccio sempre la stessa strada. È un’abilità innata: si chiama “percezione”, e alle altre persone non credo sia stata donata. La mia superbia viene alimentata dalla praticità distratta di chi non sblocca la parte destra del cervello. Mi sveglio, guardo un muro bianco e dopo due ore che lo guardo è grigio. Vorrei discutere con voi di un colore, disponendo di un atlante Munsell od NCS: quanto ve ne importerebbe? Quanto vi annoiereste? Quanto cerchereste nuove realtà, visto che questa non la volete perché non la sapete intendere? Mi sveglio, e tutto attorno ci siete voi. Io – giuro! – non vorrei dare giudizi, lo faccio solo per stare a galla od accontentarvi. La verità è che avrei bisogno di essere immortale al solo scopo di osservarvi. Mi sveglio: intorno a me paesaggi, colline, alberi, pioggia, energie radianti, edifici sovrastanti, animali vivi e decomposti, case abitate, avamposti, cartelli di segnalazione dossi, sabbia, erba e fossi, industrie ed impianti, disegni – i nostri, disegni – i vostri, terrazze, scale e pianerottoli. Descrivo la realtà coi miei metodi enciclopedici, ovvero: ti spiego gli oggetti indicandoteli, oppure facendo chilometri insieme per poi chiederti un’intersezione della mia più la tua osservazione. Mi sveglio, e naturalmente tu hai da fare, impegni inderogabili da cui non ti riesci a districare, modelli di comportamento impossibili da sradicare. Il mondo non viene comandato dai soldi o dal sesso, ma dal non voler provare quel senso di scomodità che percepisci quando ti si presenta qualche nuova possibilità. Mi sveglio, e sono l’unico a vedere la realtà con tutta questa limpidezza, senza relativismo – quindi mi sbaglio, perché sono il solo a pensare che la realtà sia una sola, e ciò che tende a differenziare la visione è l’immaginario proprio delle singole persone. Mi sveglio, ricordo ogni mia proiezione su quello che potreste pensare. Ormai gli alberi e le case non hanno più niente a che fare col vivere immersi nel reale. Sperare in un cambiamento è come sperare che piova guardando un cielo pieno di nuvole: è inutile, ed aumenta la distanza tra una persona e la comprensione del reale. Mi trovo a desiderare solo quando me lo chiedono, per pura convenzione. A volte rispondo, invece, che non desidero niente, e sono confuso. Ma il mio interlocutore teme più della morte il lasciare un discorso inconcluso: ricorre all’uso di una metafora, quella del genio della lampada. Nel mio caso, i tre desideri a cui l’interlocutore ha lontanamente alluso si staccano completamente dal reale: sono la chiave di ciò che cerco di mantenere chiuso. Mi scuso, non lo potevate sapere: cerco di mantenere separate le due sfere, anzi!, la figura sfera del reale e il frattale a spirale dell’immaginario che possiedo e che una volta aperto dai vostri inutili quesiti si sovrappone di prepotenza ai miei discorsi più sensati. Comincio a vedere cose che non esistono.
Lo percepisco quando parliamo della stessa cosa nella stessa lingua: tu citi le fonti e fai bei discorsi, ed io sono costretto a nasconderti che ciò che penso me lo invento, perché potresti non credermi, o dirmi che non vale credere nel momento, che piuttosto è meglio usare il tempo per ricercare verità passate, con la scusa che non c’è più niente di nuovo da coniare. Lo percepisco quando in ambito professionale mi rendo conto che nessuna delle cose che so fare può darmi direttamente da mangiare. Il mio lavoro è farmi bastare i soldi, utilizzare i mezzi che posseggo immaginari per generare nuovi comportamenti ed inserirli in nuovi contesti, imparare lavori che tu non vorresti, ampliare i miei confini per fare quello che tu non riusciresti. All’anagrafe mi segnano sempre tra gli studenti: non possono certo scrivere “creatore di modelli, immagini, libercoli”. Lo percepisco quando leggo un libro e ci sono dentro: smetto di leggere e sono fuori, mi rimetto a leggere e sono dentro. È incredibile! Allora non è solo quel personaggio di Michael Ende che ci riesce. Si percepisce leggendo i fumetti, che sono meglio dei libri. Ma forse non mi credi, e pensi che siano storie per bambini, e preferisci immergerti nella saggistica per sentirti più serio, o nei libri scritti dagli attualisti per avvicinarti ai fatti. Io sono lì ad aspettarti, all’uscita della libreria. Non aspettarti che io faccia pulizia dell’editoria: tuttavia, il mio immaginario contro il tuo si scontra. Ti lego ad un palo, ti sequestro la borsa: “Cos’hai comprato? Vediamo un po’. Un libro scritto da un blogger? La biografia di rockstar morte? Un libro sul sesso, le barzellette? Torna dentro e compra Tolkien, altrimenti andiamo a botte!”. Leggo solo ciò che nutre, ed il disegno legato al testo velocizza l’assunzione, distruggendo la concezione di studio uguale sacrificio con la quale sei stato nutrito. Lo percepisco quando ascolto dentro e intorno: sintetizzatori hardware o software generano immagini matematiche come le equazioni da cui provengono. Non m’interessano i contesti sociali dai quali i gruppi musicali provengono, a meno che non si tratti di alieni, navi spaziali od antichi guerrieri più o meno medievali. Ascolto solo i brani che ritengo evocativi, non ascolto i gruppi solo perché mi dici che sono troppo fighi. Ho bisogno di nutrire sfere esistenziali che tu nemmeno concepisci. Cosa m’importa di sapere che questi e questi gruppi sono stati capostipiti? Quando ascolto certi pezzi di elettronica, vedo Flatlandia, uccido il Buddha, percepisco lo sturm und drang di Achab in tempesta contro la balena bianca. Ho la testa fatta di nubi, mentre tu mi chiedi quali sono i miei preferiti tra i gruppi rapper italiani, fidati, la risposta non è un indizio per conoscermi: ascolto il rap per surrogare dei dialoghi, per ascoltare dei racconti che, magari fossero anche interessanti, ma molto spesso certi dischi li tiro contro il muro dopo appena sette ascolti. Lo percepisco appena dopo aver tirato un disco contro il muro: nel punto dell’impatto c’è un segno scuro che si muove. Lo guardo per essere sicuro che non si tratti di una scolopendra, un ragno, o addirittura un ossiuro. È una madeleine di Proust. Mi introduco curioso in un mondo fatto di nematodi, platelminti, parassiti e vermi. Mi siedo sui villi intestinali: allora è così che avvengono gli assorbimenti dei boli alimentari trasformati in elementi nutritivi! Sto vivendo un’esperienza intracorporea, oppure sto solo immaginando di viverla? Che differenza fa? Mi sveglio, e percepisco che ero solo assorto, non ero morto e non stavo dormendo, anche se coi sogni lucidi che faccio, con difficoltà distinguo quando sto sognando da quando sono desto. Lo percepisco al funerale di mio nonno, parenti tutto intorno. Alcuni piangono, io e mia sorella impassibili, mentre i becchini seppelliscono una bara in un buco di terra. Uno dei seppellitori si gira e mi guarda: è un cinquantenne di grossa taglia, indossa una cuffia con il logo dei Sepultura. Oddio! Io accetto la surrealtà con molta più ilarità che paura. Purtroppo non c’è nessuna scusa che mi permetta di ridere al funerale di un mio parente. Certi modelli comportamentali a me non vanno proprio bene: la gente li usa solo per comodità e perché non possiede una vasta immaginazione. Mentre penso a questo, mio nonno apre la bara e mi indica fra lo stupore parentale, mi dice: “Hai ragione. Ti sarà sempre più difficile separare il piano immaginario da quello pratico. Quindi fai in modo che si permeino, che si permutino, che collassino”. Grazie nonno, sapevo che non eri solo buono a brontolare e picchiare mio padre! Hai cambiato la realtà con un tocco. Intorno a me succedono cose che non esistono. Vedo esistere entità provenienti da una dimensione senza forma e senza nome, solo che a differenza di uno Cthulhu o Yog-Sothoth non sono necessariamente nefaste od orrorifiche e nemmeno candide e benefiche: sono volontà ermetiche, autonome, che percepisci per un attimo, che appaiono evocate da formule magiche, non ancestrali od arcaiche, bensì nascoste nelle frange invisibili del caso, in un presente che non può essere toccato.

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domenica 8 agosto 2010

odio l'estate


ESTATE

Estate,
sei calda come i baci che ho perduto
sei piena di un amore che è passato
che il cuore mio vorrebbe cancellar

Estate,
il sole che ogni giorno ci scaldava
che splendidi tramonti dipingeva
adesso brucia solo con furor

Tornerà un altro inverno
cadranno mille petali di rose
la neve coprirà tutte le cose
e forse un pò di pace tornerà

Estate,
che hai dato il tuo profumo ad ogni fiore
l'estate che hai creato il nostro amore
per farmi poi morire di dolor


Odio l'estate

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